Beer Places

“Le Brassin Public” di Cantillon a Bruxelles

Il racconto dell’esperienza vissuta a Bruxelles con Kuaska

“Le temps ne respecte pas ce qui se fait sans lui” – la mia visita a Cantillon

IL BIRRIFICIO

I locali di produzione e di affinamento della Brasserie Cantillon sono un museo oltre che il cuore pulsante del lambic di Bruxelles. Gli spazi, gli strumenti, le bottiglie, le botti, la polvere, le ragnatele, la ruggine,… tutto sembra una vera e propria scenografia di un luogo di un tempo passato , invece la birra acida più conosciuta al mondo nasce proprio qui nei tini di fermentazione secolari che grazie alla conduzione familiare e alla scrupolosa tradizione brassicola di sempre permettono ancora oggi di poter bere questo “anello mancante tra la birra e il vino”, come lo ha definito qualcuno.

La storia di questo che è rimasto l’unico produttore di lambic a Bruxelles iniziò nel ‘900, quando Perè Cantillon apre il proprio birrificio.

All’inizio imbottiglia e commercializza lambic prodotto da altri birrai poi dal 1937 iniziò a produrre lambic in proprio. Dopo di lui lavorarono a questa arte i figli Marcel e Robert.

Nel 1968 Marcel si ritirò dall’attività lasciando così il testimone a Jean-Pierre Van Roy, marito di Claude, figlia proprio di Marcel. Oggi continua la tradizione Jean Van Roy, figlio di Jean-Pierre. Van Roy diventa il cognome dei proprietari ma il nome, la qualità e il prodotto rimasero e rimangono sempre Cantillon.

GLI EVENTI

Nel novembre 2018 ebbi la fortuna di poter partecipare con degli amici al “brassin public” di Cantillon, a Bruxelles, insieme a Lorenzo Dabove Kuaska.

Appuntamento fisso per i grandi amanti del lambic tradizionale. La cotta pubblica si svolge due volte l’anno, il secondo sabato di novembre e il primo sabato di marzo, inizio e fine del periodo di produzione del lambic (concentrato nei mesi freddi).

I visitatori, provenienti da tutto il mondo, hanno l’opportunità di seguire le varie fasi della lavorazione, degustare la “real thing”, conoscere birrai ed esperti e seguire visite guidate nella magica atmosfera di questo museo.

Un altro degli eventi molto particolare che la famiglia Van Roy organizza è la Quintessence Brassicole Cantillon che quest’anno purtroppo, come sappiamo, è stato annullato causa Covid-19.

Si tratta di un percorso straordinario all’interno della birreria con una decina di soste alle postazioni dove si possono assaggiare i vari prodotti abbinati a formaggi, salumi e dolci di artigiani locali. Si parte dal lambic di età diverse per passare a Gueuze, seguite da Kriek, Rosé de Gambrinus, Fou Foune, Vigneronne e Saint Lamvinus, prima di salire infine al piano superiore dove si degusta la Iris e poi si termina con il Faro, preparato come Dio comanda, ovvero al momento con lambic spillato direttamente dalle botti.

La vasca in rame

LA MIA ESPERIENZA AL BRASSIN PUBLIC

Arrivare davanti al numero 56 di Rue Gheude Straat è già un’emozione. Ci vogliono le foto di rito: stiamo per entrare in un tempio per noi amanti dei lambic.

Entriamo nella prima stanza e troviamo lo shop e la tap room, che più tardi cercheremo di sfruttare.

In compagnia di Kuaska, immancabile con la sua sciarpa del Genoa, iniziamo la visita dello stabilimento.

La produzione è in corso.

Arriviamo quando il processo di produzione è iniziato (filtrazione) assistendo però alla fase di luppolatura e alla bollitura (prolungata) del mosto.

Dal piano terra dove tutto ha inizio la parte liquida viene spinta, mediante tubazioni, al piano di sopra dove si aggiunge in grande quantità l’houblon suranné, il luppolo invecchiato che ha perso le sue proprietà amaricanti ma ha ancora quelle conservative e antisettiche.

Forse non tutti sanno che il Lambic si produce da ottobre a maggio per evitare le alte temperature estive che ne ostacolerebbero il raffreddamento e favorirebbero le infezioni.

Siamo presenti quando nel pomeriggio, dopo alcune ore di bollitura, il mosto bollente viene fatto salire da storiche pulegge nella mitica vasca di raffreddamento in rame, di circa 35 metri quadri x 30 cm di profondità in modo da creare un’ampia superficie di contatto con l’aria, sotto le tegole del tetto dove, dalle fessure, entreranno i lieviti selvaggi (i famosi brettanomiceti presenti nell’aria e non solo) a fermentare in fasi complesse, il mosto.

E’ un’emozione unica essere presenti nel momento in cui il getto di mosto caldo arriva e riempie la vasca di rame, fra vapore e profumi, annebbiando la vista e appannandomi gli occhiali e la macchina fotografica.  

Dopo una notte di riposo il mosto verrà trasferito in un’altra vasca di riposo e poi successivamente in botte.

Il lambic riposerà poi in botti di castagno o rovere fino a tre lunghi anni. Durante questo tempo evolverà nella preziosa bevanda che conosciamo e diventerà unico e irripetibile.

“Le temps ne respecte pas ce qui se fait sans lui”. Senza il tempo come ingrediente il lambic non sarebbe ciò che è. 

Una fase molto interessante è la pulizia delle botti con il metodo tradizionale, che consiste nel far vorticare delle catene di ferro all’interno delle botti e successiva svaporata.

Dopo la visita agli impianti e aver assistito alla cotta è ora di degustare! Si beve il Farò preparato sul momento, come Dio comanda!

Ma quali sono le differenze dei vari lambic e delle produzioni?

Eccovi alcuni spunti tratti da uno scritto di Kuaska per conoscere meglio ciò che viene prodotto nel Pajottenland.

LE PRODUZIONI:

  • IL LAMBIC

Il lambic che esce dalla botte si presenta piatto, molto secco, di gradazione intorno al 5% vol. alc. e con aromi e sapori dalle sfumature uniche e introvabili, nel loro insieme, in qualsiasi altra bevanda del pianeta.

Aromi e sapori inusuali che possono a volte ricordare il metallo, il formaggio ammuffito, il limone, l’aceto, il sudore, le carte da gioco vecchie, il sangue, la carne in scatola, gli stracci bagnati e così via.

Aromi e sapori che possono risultare ardui e di difficile fruizione per il bevitore senza esperienza ma che, dopo un po’ di “allenamento” e di “dedizione” possono a volte attaccare una malattia che per molti è irreversibile.

Il lambic piatto, una volta vera e propria “bevanda del popolo” oggi giorno viene quasi tutto assemblato per produrre la gueuze ed è sempre più difficile da trovare.

Si contano ormai al massimo sulle dita di due mani, i piccoli, romantici caffè nei quali poter vivere l’eccitante esperienza di assistere ad un semplice ma antico gesto: lambic di pochi mesi spillato in una brocca di ceramica direttamente da una vecchia botticella e poi finalmente nel nostro trepidante bicchiere.

Le famose ragnatele
  • LA GUEUZE

La Gueuze detta “lo champagne del Belgio” (geuze in fiammingo) nasce dall’assemblaggio di due o più lambic di età diversa, effettuato per lo più dagli stessi produttori ma in alcuni casi quest’arte viene praticata da puri assemblatori che acquistano il lambic dai produttori che preferiscono.

La gueuze prende il nome probabilmente dal termine “gueux” (pezzente), perché nella regione era la bevanda dei poveri mentre il vino trovava posto solo sulle tavole dei potenti.

Le caratteristiche aromatico-palatali sono vicine a quelle del lambic sopra descritte ma la fermentazione supplementare, oltre alla frizzantezza, conferisce alla gueuze una complessità e una finezza molto più marcate.

Il blendatore di lambic deve assolutamente avere una sensibilità olfattivo-gustativa molto sviluppata (spesso innata o ereditata) verso questa bevanda per riuscire a trovare la “propria” gueuze, quella e solo quella che lo possa soddisfare ed identificare.

Un detto locale sentenzia “un vrai gueuze doit puer” (una vera gueuze deve puzzare”) e questa “puzza” deve essere padroneggiata dal blendatore che vuole dare un’impronta originale alla sua creatura.

La gueuze tradizionale (con 5-6% vol. alc.) si ottiene dalla rifermentazione in bottiglia di una miscela di lambic giovani, che apportano carboidrati fermentescibili mentre i lambic invecchiati contengono le destrinasi, necessarie all’idrolisi delle destrine.

L’assemblaggio è una vera e propria arte: il birraio sceglie i componenti della miscela tenendo conto delle loro caratteristiche di gusto ed acidità al fine di ottenere un prodotto che, dopo la rifermentazione e la maturazione, abbia le caratteristiche tanto desiderate.

Lo scopo di quest’appassionante miscelazione è quello di ricostituire la frazione destrinica da parte del lambic giovane in modo da permettere la rifermentazione in bottiglia con produzione di CO2. Ovviamente le proporzioni di lambic giovani e vecchi variano da un birraio all’altro.

Sempre che non stiano mentendo alcuni birrai indicativamente utilizzano il 50% di lambic di un anno, e un quarto di due anni e un quarto di tre anni mentre altri preferiscono mettere due terzi di lambic di un anno e un terzo di lambic invecchiato due o tre anni e altri più di nove decimi di lambic di due anni e solo un decimo di lambic che ha fermentato solo per qualche settimana.

Dopo la miscelazione si passa all’imbottigliamento cui segue la rifermentazione che dura circa 4-6 mesi con un metodo quindi simile a quello usato per lo spumante italiano metodo classico.

Le bottiglie coricate nelle buie cantine riposano indisturbate finché si deciderà di portarle al tavolo, sempre nella stessa posizione orizzontale, maneggiandole delicatamente prestando la massima cura per non agitare i lieviti depositatisi.

Quanti bambini belgi hanno preso uno scappellotto dai loro padri per non aver rispettato questa primaria fondamentale regola!

Scappellotti che andrebbero ancora oggi dati a quei gestori di caffè che non istruiscono debitamente il loro staff.

  • IL FARO

Il Faro (il cui nome sembra derivi dall’omonima città portoghese anche se alcuni storici lo fanno risalire alla parola latina “farina”) veniva prodotto dalle birrerie o dai singoli gestori dei caffè, aggiungendo al lambic zucchero candito bruno o melassa.

Tagliato con una birra leggera (a volte prodotta dalla seconda utilizzazione delle trebbie) e spesso allungato con acqua dava vita alla Mars, una bevanda popolarissima all’epoca, ancor più a buon mercato, che da molti decenni è ormai scomparsa.

Il faro (pronuncia farò), vera e propria bevanda delle classi meno abbienti di Bruxelles e dintorni, era così popolare nel diciannovesimo secolo che una sciagurata decisione dei governanti di allora di aumentare (siamo nel 1842) il prezzo del Faro di un solo centesimo, provocò una vera e propria insurrezione (paragonabile a quella del pane, nel seicento, di manzoniana memoria) che portò gli incauti autori del crimine a riportare al più presto l’irrinunciabile bevanda al vecchio prezzo con conseguenti grandiosi festeggiamenti e processione per le strade di Bruxelles con bisboccia e sbornia finale (a base di Faro ovviamente) al caffè “Au Duc Jean”!

  • LA KRIEK

La kriek tradizionale nasce dall’aggiunta di ciliegie acidule intere al lambic.

Tradizionalmente vengono utilizzate griotte (per essere più precisi) che appartengono alla varietà di Schaerbeek, a nord-est di Bruxelles, hanno frutto piccolo, nocciolo relativamente grande, gusto acidulo e polpa dal bellissimo color rosso intenso. Ai giorni nostri sono però limitatamente coltivate nella zona di Gorsem, Tienen e Sint Truinden, rendendo necessario il ricorso a importazioni dai paesi dell’est (Polonia e Macedonia) le cui varietà di ciliegie però hanno frutto più grosso e meno acidulo di quelle di Schaerbeek. Il metodo tradizionale prevede l’utilizzo di ciliegie intere in quantità pari a circa 20-30 kg ogni 100 litri di lambic, che vengono poste in botti riempite poi con lambic invecchiato dai 12 ai18 mesi . Gli zuccheri apportati dalla frutta fanno partire una seconda fermentazione che si rivela molto tumultuosa con produzione di abbondante schiuma. Dopo circa 5-6 mesi di macerazione, durante la quale avviene tra l’altro l’estrazione dei tannini e formazione di benzaldeide, responsabile della spiccata nota di mandorla avvertibile in alcune kriek, si procede all’imbottigliamento come per la gueuze, cioè miscelando alla kriek una quantità di lambic giovane per la rifermentazione in bottiglia.

La leggenda, incrociata con la storia, dice che la kriek fu inventata da un soldato originario di Schaerbeek, gran bevitore di birra, che ai tempi delle Crociate si recò in Terrasanta a combattere gli infedeli per liberare il Santo Sepolcro di Gerusalemme. Qui scoprì e apprezzò il vino rosso come il sangue di Cristo e al ritorno, in preda alla nostalgia, decise di lasciar macerare e fermentare nella birra (sua bevanda abituale) le ciliegie del suo giardino, creando così la prima kriek della storia.

Leggende a parte, una kriek autentica, dall’irresistibile color rosso vivo, profumata e acidula, può rappresentare un aperitivo raffinato o, in mano ad un bravo chef, un ingrediente decisivo per piatti tradizionali come la celebre e squisita “faraona alla kriek”, senza dimenticare i desserts come il voluttuoso “zabaione tiepido alla kriek”.

Una curiosità per finire: per attenuare la decisa punta di acidità, un tempo si usava aggiungere nel bicchiere una zolletta di zucchero che veniva poi frantumata per mezzo di un antico strumento, simile ad un pestello di metallo, chiamato “stoemper”.

  • LA FRAMBOISE

Dall’aggiunta di lamponi freschi al lambic in quantità variabile, a seconda del produttore, tra 20 e 35 kg per cento litri, si ottiene la framboise tradizionale, il cui processo produttivo è lo stesso della kriek ma tenendo ovviamente conto della diversa consistenza tra i due frutti.

I lamponi infatti si decompongono nel corso della fermentazione e i piccoli semi possono creare qualche piccolo problema al momento della filtrazione.

Talvolta, per rendere più intenso il caratteristico colore rosé, viene aggiunta una piccola percentuale di kriek al momento dell’imbottigliamento.

La framboise prodotta con metodi tradizionali, dall’aspetto elegante e dall’aroma delicato, si presenta in bocca ben più “dry”, tagliente ed astringente con decise punte di acidulo che la rendono perfetta come aperitivo per un pranzo raffinato.

"Le Brassin Public" di Cantillon a Bruxelles

“Le temps ne respecte pas ce qui se fait sans lui” – la mia visita a Cantillon
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